Utopia e distopia in letteratura

Utopia e distopia in letteratura

La presenza di utopia e distopia in letteratura, soprattutto la seconda in tempi più recenti, sembra essere legata allo stato di crisi della società. In questa affermazione sono implicite alcune domande non retoriche che andrebbero discusse: è necessaria una crisi per generare un’utopia/distopia? Il costo del fallimento dell’utopia è attribuibile ad essa, oppure il costo della crisi è attribuibile al fallimento della “soluzione”?

Sviluppi narrativi

Lo sviluppo di una narrazione utopica o distopica si riduce in ultima analisi a una questione di direzione. Vale a dire, come concepiamo il percorso delle idee e delle società attuali. È una questione di tensione e di direzione della tensione, di vettore. O, se preferiamo, è una questione di prospettiva. Questo riduce il dilemma a una questione di attenzione, di volontà, di intenzione, sia sul presente, sul futuro o sul passato. Tutto dipende dall’angolazione, dalla rotazione del punto focale nel tempo piuttosto che nello spazio.

È significativo che, a fronte della progressiva svalutazione del termine utopia, il termine distopia si sia radicato non come antonimo ma come alternativa. Una lettura alternativa della “realtà del mondo”. Una lettura rafforzata da fattori oggettivi come la crisi economica, la disarticolazione sociale, la devastazione ecologica. Temo che sia una lettura autoreferenziale, perché questa visione definisce una società caratterizzata dal negativo. Povertà di massa, sfiducia pubblica, stato di polizia, miseria, sofferenza o oppressione. L’esplorazione delle radici da diverse angolazioni, ma spesso priva di alternative, si colloca nella zona di inquietudine e disagio del lettore, nella disperazione. Una lettura che rafforza le sensazioni di instabilità e precarietà che il presente già offre: il futuro, in generale, non è migliore.

Utopia e distopia

L’utopia, che nella sua visione più classica è un luogo perfetto (un buon luogo, senza esplorare la possibilità di una diversa etimologia che indichi il non luogo), che si mostra immobile. Un luogo antistorico e anti-dialettico come la distopia, immobile. Ci troviamo, paradossalmente, davanti a due visioni potenzialmente mostruose o capaci di generare mostri.

L’aspetto peggiore di queste letture di entrambe le alternative, estremi di un ipotetico pendolo, è la loro parzialità. Perché non si tratta di romanzare o di offrire una finzione che rappresenti la totalità, obiettivo impossibile, ma forse di offrire punti di vista alternativi nella stessa narrazione o punti di fuga, punti di vista, parziali quanto si vuole, che come un caleidoscopio danno l’immagine complessa della realtà. Non si tratta tanto di cogliere la realtà quanto di interpretarla. Ed è in questo caso che l’utopia assume una forza che la distopia non possiede.

L’utopia è forte quando delinea un sogno in divenire, un obiettivo perfettibile, desiderabile ma non vivibile. In altre parole, l’utopia diventa tensione, tensione ideale, tensione immaginativa e tensione narrativa. L’utopia per essere reale deve essere dialettica. Il fallimento delle utopie del XX secolo non è la fine delle utopie narrativamente parlando, costruite immaginativamente (e in questo senso un progetto pienamente politico): nelle parole di Magdalena López “…dimensione creativa capace di trasfigurare la perdita in mondi alternativi attraverso la letteratura e la configurazione di spazi eterotopici. In questo modo, la disillusione rivoluzionaria non implica necessariamente la fine del desiderio utopico, ma un cambiamento nel modo di concepirlo”.

Conclusioni minime

Sono propenso a pensare, quindi, che utopia e distopia raggiungano il loro pieno significato quando si presentano in relazione dialettica, continui rovesciamenti in un infinito divenire. Al contrario, mancano di senso come soggetto pieno se non sono tensione, transizione, possibilità.

Non concepisco una storia o narrazione, come uno spazio distopico, ma come una conversazione perenne tra entrambi gli aspetti. Si delinea infine un orizzonte in cui si immagina qualcosa di migliore, in cui c’è spazio per il riscatto transitorio e sempre provvisorio della vita individuale e collettiva.

In breve, mentre la distopia ci racchiude, l’utopia ci libera nell’uso dell’immaginazione per trovare soluzioni sempre diverse. Esse sono sempre fugaci rispetto alle condizioni che la realtà ci presenta come reali o addirittura inevitabili, n qualunque tempo la collochiamo. Per questo considero l’utopia indispensabile, anche se pallida o poco evidente.  È l’unica che ci offre la possibilità di immaginare un futuro che possiamo costruire e che desidero vedere in futuro.